Campi e Campielli a Venezia

In una città nella quale da sempre ci si muove a piedi, lungo percorso fitti e non di rado tortuosi, rasentando frequentemente spazi d'acqua e canali da scavalcare con ponti, e dove la densità del costruito è elevatissima, vi è una trama fatta di percorsi per lo più angusti, le calli, che sfociano di tanto in tanto su spazi ampi e luminosi i campi e assai più frequentemente incrociano spazi più piccoli le corti e i campielli della Venezia minore.

 

Di questa trama, apparentemente casuale, se ne coglie il senso, solo se si fa mente locale sulla plurisecolare avventura urbanistica attraverso la quale Venezia ha preso gradatamente forma: a partire dall’ iniziale arcipelago di isole piatte e barene sul quale si conviene sorga la città, e sul quale gradatamente la si costruisce, con un progressivo infittimento edilizio, colmando gradatamente terre emerse separate all'inizio da ampi canali.

 

Venne dato luogo così ad un insieme di cellule urbanistiche elementari dotate ciascuna di una propria centralità con il campo e la chiesa e con all'intorno un insieme di edifici abitativi sempre più densi, organizzati in modo da aprirsi su spazi minori direttamente accessibili, e non di rado fra di loro collegati: le corti e i campielli.

 

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L'armonia, l'interconnessione tra acqua e terra, ha prodotto pertanto luoghi che non trovano riscontro in alcun altro centro urbano, luoghi che rendono benefiche accogliente la vita quotidiana, forse compromessa, in tante altre città, dalla evoluzione del traffico su gomma e su ferro.

 

Ecco tornando ai campielli e considerandoli per come si presentano oggi, occorre rilevare che data la loro diffusione nel tessuto urbanistico della città essi hanno risentito, ancor più dei campi delle trasformazioni urbanistiche e funzionali e venute a Venezia negli ultimi 150 anni.

 

Ciò ci induce ad accennare ad un'altra importante funzione degli spazi pubblici minori veneziani che si è venuta perdendo, quando si è avviata la modernizzazione 800 e 900: per secoli i campi, ma soprattutto i campielli e le corti veneziano hanno fornito ai cittadini la disponibilità di spazi aperti che, sapentemente progettati appositamente pavimentati, avevano permesso di disporre in tutte le parti della città di opportunità per l'approvvigionamento idrico quotidiano: un'opportunità altrimenti impossibile.

 

La trama dei campi, il campielli delle corti va dunque anche interpretata come la vera rete idrica cittadina, prima dell’arrivo a Venezia l'acquedotto pubblico (fine Ottocento), e con essa tanti, tantissimi pozzi, e tantissime vere sistemate al centro di spazi aperti, pavimenti modellati in modo da convogliare l'acqua piovana nelle cisterne sottostanti appositamente congegnate per consentire la raccolta dopo il filtraggio.

 

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Resta il fatto che si è potuto vivere dappertutto a Venezia, in una città che è in acqua e non ha acqua, solo grazie a questi preziosi espedienti e agli spazi aperti che li ospitavano, utilizzati da tutti i cittadini,

 

In questa prospettiva occorre tener conto anche di un'altra componente del progressivo rivoluzionamento della percorrenza urbana: e cioè la pressione dei flussi generati dal turismo di massa, che entrano sempre più prepotentemente a Venezia.

 

È un processo, occorre dire, che si accompagna al simmetrico abbandono di Venezia da parte di molti degli abitanti. Cambia dunque, sempre più repentinamente, il senso di luoghi che sono essenziali per intendere il senso della città.

 

E’ importante ricordare che a Venezia la toponomastica era rigorosamente orale, non scritta, tramandata per tradizione da generazione in generazione. Il progetto avviato dall'amministrazione austriaca si concretizza nel successivo periodo di governo francese, tra 1808 e 1814, una prima introduzione dei “nizioleti” con l'indicazione sui muri del centro storico e delle isole delle specifiche denominazioni.

 

Non esisteva neppure alcuna numerazione anagrafica istituita, progressiva per sestiere, nel 1841.

 

In totale ne sono stati catalogati 215, includendo la Giudecca, Murano, Burano, Malamocco e Pellestrina.

 

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In molti fortunatamente sopravvivono i pozzi che ne costituivano il punto focale e l'oggetto di massimo interesse per gli abitanti che scendevano in Campiello oltre che per chiacchierare anche per approvvigionarsi appunto dell'acqua.

 

Se per un residente quindi il Campiello rappresenta ancora qualcosa di intimo, spesso sconosciuto ai più, estromesso dei percorsi della routine quotidiana, per i tanti che apprezzano una passeggiata in giro per i sestieri, il Campiello o meglio un tour tra i campielli può assumere il valore di una riscoperta della Venezia più antica in meno stereotipata.

 

Margherita Pasotto